21 Dicembre - Ocarina Player
icon

Contatti

[email protected]

Sindbad Srl
Via Giano della Bella, 23
50124 Firenze

Shopping bag (0)

Nessun prodotto nel carrello.

icon
0

21 Dicembre

21 Dicembre

C’era una volta ed era celeste e piena di stelle, erano tanti puntini luminosi lontani
lontani. Un uomo e suo figlio le osservavano dalla finestra della cameretta.
«Sono lampioni e luci di case!» Il bambino saltellava davanti al padre: «E quando
crescerò, andrò a visitarli tutti.»
Il padre gettò una rapida occhiata al cielo notturno e rispose con tono scherzoso: «Sei
sicuro che invece non siano delle sfere grandi grandi nelle quali avvengono reazioni
di fusione nucleare tra atomi?» poi con un gesto meccanico, seguendo la notifica
dell’arrivo di un messaggio, prese il telefono dalla tasca e si mise a scrivere.
«È importante. È per lavoro.» Spiegò al bambino prima che potesse domandare
alcunché: «Sembra che settimana prossima, tornerò a casa tardi.» Salutò suo figlio
con una carezza e un bacio sulla fronte.
Il bambino si lamentò: «La tua barba punge.»
Il genitore sorrise e si ritirò: «Adesso è tardi, dovresti andare a dormire.»
Erano le prime volte che il bambino dormiva da solo, e poggiava la testa su una
guancia per rivolgere lo sguardo alla finestra.
Qualche volta, la mattina, poco prima di svegliarsi, se il tempo lo permetteva,
ascoltava il rumore che faceva la moto del padre, un ruggito deciso, ma sottovoce,
per non svegliare nessuno.

Uno dei giorni seguenti, il bambino non si sentì bene a scuola e ad andare a
riprenderlo fu il padre. Il quale, per una serie di imprevisti, aveva prestato la moto a un
collega per una commissione lavorativa urgente. Mancava un fissante per la rifinitura
di piastrelle di una cucina.
Così oltre a un bel respiro, prese anche il treno.
Giunse a scuola al volo e prese il bambino con se tenendolo per mano, come si fa di
solito.
Era in corso il cambio di stagione e pure al lavoro, dal padre, erano cominciate le
prime influenze e i turni più lunghi in assenza dei colleghi.
Il lavoro era importante e il padre lo ascoltava sempre, quando era con suo figlio.
Riceveva delle chiamate e poi telefonava di nuovo ad altre persone.

Doveva notificare alla madre che aveva prelevato il loro figlio a scuola.
Doveva sentire se i suoi genitori o se, in via del tutto eccezionale quelli di lei,
potevano ospitare il bambino per un giorno o due, se la malattia si fosse protratta.
Così si ritrovarono l’uno di fianco a l’altro, padre e figlio, sul treno.
Il padre prese un telefono, quello di casa, aprì un gioco con le palline colorate e lo
diede al bambino. Poi afferrò l’altro telefono, quello di lavoro e rispose a una chiamata
in arrivo.
«No, No. Sì, sì, ma certo. È che il cliente ci ha chiesto di fargli una modifica all’ultimo.
Se n’è occupato…» e concludeva con il nome di un collega sempre diverso.
Il bambino se ne stava seduto giocando e ascoltando, ogni tanto sgranava gli occhi
per i numerosi colleghi e amici di papà, o per il fatto che non avesse ancora terminato
la telefonata.
Il colmo fu assistere alla chiamata tra suo padre e un signore: «Sì, ti chiamo per dirti
che ti richiamo domani. Sì, è tutto a posto, vai tranquillo. No, sono passato a prendere
mio figlio a scuola.» In fondo, era la verità.
Quando il bambino trovò un livello più difficile del gioco, dopo la prima sconfitta,
allungò il telefono al padre. Il quale afferrò lo smartphone, due click, la chiusura di una
pubblicità, mentre con la testa e la spalla bloccava l’altro telefono. Infine restituì
quello di casa al ragazzino con tanto di livello completato e forse anche due vite extra
per il successivo.
Il bambino rimase in silenzio continuando a giocare fino a casa. Ad attenderlo c’erano
il nonno e la nonna, da parte di padre, e rimase con loro.

Con così tanto guardare verso la finestra, il bambino si accorse anche di me. Un
piccolo gnomo dal cappellino rosso. Non era la prima volta che sorvegliavo quella
famiglia in particolare. C’era qualcosa che non andava e stavo indagando per conto
dell’Agenzia capire quale fosse il problema.
Il bambino mi aveva visto e si stava avvicinando, così mi abbassai e al volo mi
trasformai in un pettirosso. Si mise a osservare da oltre il vetro, era curioso, e si
appoggiava con i gomiti sul controdavanzale.
«Sai, pettirosso,» la sua voce era un po’ offuscata dal vetro: «A volte vorrei avere più
tempo da passare con i miei genitori.»

Lui guardò in alto verso il cielo che prometteva pioggia: «Perché un giorno crescerò,
e andrò in giro nello spazio a vedere nuovi mondi. Sarà quello il mio lavoro e non avrò
molto tempo di stare a casa.»
Forse era proprio quello il problema di questa famiglia, la distanza. Dovevo riferirlo
all’Agenzia per trovare una soluzione, però, non potevo neanche lasciare quel
ragazzino, così, all’improvviso.
Ero un pettirosso in quel momento, e i pettirossi hanno bisogno di briciole. Così
becchettai sul davanzale e lui andò a prendere un cracker e lo sbriciolò davanti a me.
“Io lavoro in un Agenzia che si preoccupa di recuperare energia per il mondo magico
degli gnomi. Quando vengono evocati i ricordi felici passati in famiglia, gli umani
generano delle piccole nuvolette cariche di energia emotiva. Quell’energia permette
agli gnomi di alimentarsi e di avere a disposizione la magia.”
Beccai ancora qualche briciola e rivolsi uno sguardo al bambino prima di andarmene:
“Quel bambino, non ha mai detto il suo nome e nemmeno in famiglia si sono mai
chiamati per nome. Dicono di agire per il suo bene, lavorando tanto, ma non c’è solo il
lavoro. Non è quello che deve stare al primo posto, ma le persone.”

Parlai con un mio collega del caso del bambino, delle briciole e di tutto quanto e lui mi
guardò come se avesse pronta la soluzione. «Natale.»
«Natale?» gli ripetei.
«È un’usanza degli umani, una festa che cade una volta all’anno per stare insieme
con la famiglia.»
«Potrebbe non bastare. E poi una volta all’anno non è un po’ poco per passare del
tempo insieme?» domandai.
Il collega controllò uno schermo sul quale apparivano diverse lucine verdi e delle
nuvole che si muovevano.
«Forse, ma è sempre meglio di niente. Fai in modo che i genitori e quel bambino si
trovino a casa tutti insieme, e mandami un segnale con questo.» il collega mi passò
un pulsante, uno bello giallo.
Lo presi e con un cenno del capo annuii.

Il periodo del Natale si stava avvicinando e, di tanto in tanto, come pettirosso passavo
a salutare quel bambino per vedere come stava. Mi raccontava qualcosa e io lo
ascoltavo, ma non rispondevo. “Agli gnomi è proibito parlare con gli umani, altrimenti
scompaiono.”
«Sai, pettirosso, dicono che lassù nel cielo, gli astronauti si sentano molto soli. Qui
almeno ho te e i nonni. A causa del lavoro i miei… sono come le stelle. Sono a casa
soltanto quando fa buio.»
Quindi bastava aspettare la sera, controllare che ci fossero tutti e schiacciare il
pulsante. Così attesi e al momento opportuno avvertii il collega.
Era il 21 dicembre, qualche giorno prima di Natale.
La temperatura si abbassò e la volta celeste si coprì di nuvole oscurando la stelle. I
primi fiocchi ebbero difficoltà, ma pian piano la neve attecchì ricoprendo tetti, giardini,
strade e auto con una coperta soffice.

Di Alessandro Salani

Condividi la fiaba su