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Buc, corg e il fantasma

Buc, corg e il fantasma

C’era una volta Buc, un ragno che viveva nel buco di una finestra delle rovine di un castello. Stava tranquillo nella sua piccola tana, al buio. Tessute le sue ragnatele, per catturare e mangiare gli insetti, tutto il giorno non gli restava altro da fare. Si annoiava molto ed era sempre più cicciottello. Gran parte della struttura era pericolante e, anche per questo, nessuno andava a visitare quel rudere. Buc, per natura, era scontroso e gli altri insetti si tenevano a debita distanza per paura di essere divorati.
“Che faccio su questa terra!” si domandava. “Davvero un brutto destino il mio!”. E i suoi lamenti erano simili a sottili fischi che facevano spavento, risuonando tra quelle antiche mura. Tutto era tenebroso in quel castello. Si raccontava che quella dimora fosse abitata dal fantasma del Cavaliere di Pietra le cui urla si udivano nelle notti di luna piena. L’oscuro essere odiava i bambini. Per questo motivo i nonni raccomandavano a tutti i piccoli di restare lontani da quel luogo.
L’estate era finita e cominciavano le prime piogge d’autunno che costringevano Buc a restare rinchiuso sempre più nella crepa del legno della sua tana, per non essere travolto dagli scrosci di acqua delle grondaie.
Era quasi la fine di ottobre e si avvicinava la festa di Halloween. Anche nel paese di Buc i davanzali si stavano colorando di zucche, candele, mazzetti di peperoncini e ghirlande di aglio scaccia fantasmi. Tra le case c’era odore di cannella e zucchero dei dolci in cottura. A scuola si preparavano i lavoretti e le recite.
Ma il nostro Buc non poteva certo partecipare alla festa. Un ragno vero, brutto e grassottello, spaventava e disturbava anche ad Halloween tanto da essere presto schiacciato e gettato nella spazzatura.
Buc aveva un solo, insolito, amico: il pipistrello Corg che a differenza degli altri esemplari della sua razza aveva deciso di non mangiarlo e di tanto in tanto andava a trovarlo. “Ciao Buc, come ti butta?” aveva chiesto Corg svolazzando intorno alla tana e appendendosi alla maniglia di ottone della finestra.
“Buc ci sei? Buc sei vivo?” Il ragno, che era un gran pigrone, aveva tardato ad affacciarsi. “Non mi hanno mangiato, se è questo che vuoi sapere! Sono qua, ad annoiarmi come una mummia!”
“Potresti pure uscire qualche volta, per perdere qualche chilo amico mio! Sei diventato davvero troppo grasso! A guardarti mi fai venire l’acquolina!”
“Non dirmi che mi mangeresti!”
“Beh, d’istinto sì! Sei un ragno succulento!”
Buc, spaventato dall’amico, era rientrato nella tana.
“Sciocco dove vai? Stavo scherzando!” aveva ripreso Corg sempre oscillando sulla maniglia.
“Stai un po’ fermo, mi fai venire il mal di mare con questo dondolio!” aveva ripreso Buc tornando ad affacciarsi.
“Sei noioso, Buc!”
“Beh, allora vattene. Io sto bene anche da solo!”
Corg non se lo era fatto ripetere ed era volato via con disappunto, stridendo più del solito. “Non ho bisogno di niente e di nessuno!” aveva brontolato il ragno ed era rientrato trascinando le zampe fino al suo letto. Poco dopo già russava sonoramente. Il suo sonno fu breve. Si svegliò all’improvviso per uno spaventoso boato. Il temporale si era concentrato proprio sul castello e i tuoni, sempre più vicini, facevano davvero paura. Non sembrava più che fosse notte con la luce che , a intermittenza, invadeva le rovine fino nel fondo della tana.
Buc, impaurito e tremante, se ne restava nascosto nel suo letto. “Dove sei Corg, aiuto! Amico mio, aiutami! Ho tanta paura!”. Corg non poteva sentirlo. Era chiuso nella caverna in attesa che la tempesta si placasse. “ Salvami, ti prego! Aiuto!” continuava a gridare. Non aveva neanche finito quella frase che un lampo cadde proprio su quell’ala dell’edificio,
facendola crollare. La finestra con tutto il resto si staccò e precipitò, frantumandosi. Buc, con la sua tana, fu trascinato via dal fiume d’acqua che scivolava giù dal castello. Il suo destino sembrava segnato quando il pezzo di legno si incastrò tra le piante, terminando la
sua corsa. Ma Buc era così terrorizzato che neanche si accorse di essersi fermato. La tempesta finì sul dileguare della notte. Prima che albeggiasse Corg decise di andare a vedere come stava Buc. Volò fino al castello e una volta lì ebbe l’amara sorpresa di non trovare più l’intera parete dove abitava l’amico.
“Buc dove sei? Buc, rispondimi!” chiamava in preda alla disperazione. Svolazzò così, senza sosta, sulle rovine fino a quando non fu giorno. La luce piena del sole gli impediva di tornare alla caverna. Si nascose nella prima crepa che trovò così da raccogliere le idee e, appena possibile, ricominciare le ricerche.
“Il tuo amico è in fondo alla valle! tuonò una voce da brividi dal fondo del castello!” Corg sobbalzò. “Chi sei?” chiese a quel suono che pareva venire dall’aldilà. “Sono il Cavaliere di Pietra, il fantasma del castello!” disse la voce misteriosa e sul finire della frase si sollevò dalle fondamenta del castello come una grande nuvola grigia che si
trasformava pian piano in un grande uomo fatto di pietre, dagli occhi di fuoco. Questo mostro spaventoso, nel volare verso l’alto, perse molti pezzi di roccia.
“Allora esisti davvero? I nonni avevano ragione!”
“Certo che esisto!” replicò il fantasma.
“Hai visto per caso un ragno?” chiese Corg.
“Si. È sparito nel fiume d’acqua!”
“Povero Buc, non sono stato un buon amico!” disse piangendo il pipistrello. “Vado io a cercarlo! Torno presto!” tuonò il Cavaliere e salì in cielo con la potenza di un uragano, nella scia di un eco da brividi. Le ore passavano. Corg guardava l’orizzonte ma non vedeva nessuno.
Il sole tramontò e un forte boato scosse di nuovo i dintorni. Non era il temporale questa volta, ma il fantasma di ritorno con la tana di Buc. “Ecco il tuo amico!” disse e adagiò il legno sull’erba del cortile. Poi, perdendo ancora qualche pietra, sparì nei sotterranei. “ Grazie fantasma!” gridò Corg e, terminato il trambusto, volò fino al prato nella speranza di trovare ancora vivo l’amico. “Buc! Buc! Buc!” continuava a chiamare mentre con le zampe ripuliva il fango dal legno.“Buc! Buc! Rispondimi!” ripeteva. Ma dal foro non usciva alcun suono. Aveva quasi perso le speranze quando sul fondo della tana vide qualcosa che si stava muovendo. Erano proprio le piccole zampe pelose del ragno.“Buc sei tu! Ti ho trovato!” urlava Corg. “Buc rispondimi amico mio!” Buc si muoveva a stento e non rispondeva. “ Buc non morire! Amico mio non morire! Buuuuuuuuc!”e continuava a piangere e urlare, disperato.
“Non ho intenzione di morire!” disse Buc, lamentandosi con i suoi fischi sottili. “Non nel giorno di Halloween!” aggiunse con voce più decisa, emergendo dal buio. “Buc! Amico mio!”, strillò Corg pieno di gioia mentre abbracciava il ragno. Nessuno aveva mai visto un pipistrello stringere un ragno e non divorarlo. Una vera stranezza, pronta per Halloween. Buc salì sulle ali di Corg e insieme volarono in paese mentre i bambini, bussando alle porte, già ripetevano a chi apriva “ Dolcetto, Scherzetto!”

Di Emilia Tartaglia Polcini

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