La musica come esperienza educativa - Ocarina Player
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THE POND

La musica e la dimensione sonora come esperienza educativa

Esperienze e studi, a che punto siamo

18/09/20 Educare i bambini

La musica e la dimensione sonora come ascolto possono trasformarsi in una esperienza educativa che favorisce la conoscenza di sé, dell’altro, del mondo.

I suoni che percepiamo influiscono sulle nostre emozioni, la nostra immaginazione, i nostri comportamenti e sicuramente anche a livello cognitivo. 

In tale prospettiva ogni attività e percorso educativo che prevede la stimolazione sonora può essere molto utile nell’ambiente scolastico, aiutando i bambini nell’apprendimento così come nelle relazioni e nella socialità. 

La scuola e l’ascolto

Purtroppo non sempre la musica viene integrata nel sapere scolastico. In particolare, l’insegnante che non si ritiene un musicista professionista e tanto meno un ‘genio’ in materia finisce per rifiutare l’utilizzo di qualunque esperienza sonora o di ascolto sonoro come strumento di sensibilizzazione all’ascolto in generale. In realtà molte teorie pedagogiche sostengono che l’ascolto sonoro-musicale non ha lo scopo di far crescere giovani musicisti, ma è fondamentale per stimolare molte capacità percettive, quali la concentrazione, l’attenzione al dettaglio, il senso di ordine e disciplina, l’attenzione alle pause, l’analisi del sonoro e di sé come fonte anche sonora. È un ascolto che ‘precede’ l’ascolto musicale formale. La pedagogista Maria Montessori così come il violinista giapponese Scinchi Suzuki, fondatore dell’omonimo metodo il cui valore è riconosciuto in tutto il mondo, sostengono la centralità dell’apprendimento musicale dei bambini  e che soprattutto non si possa distinguere tra bambini dotati o meno: ciascuno alla nascita possiede dei talenti che si possono sviluppare se lo permette l’ambiente in cui crescono. 

Gli effetti della musica sul corpo: alcuni studi

Al di là dello sviluppo musicale del bambino, studi recenti dimostrano come la musica influenzi comunque il nostro corpo; i ricercatori hanno misurato diversi parametri durante l’ascolto: il ritmo del respiro, la pressione del sangue, il flusso arterioso nel cervello, il battito cardiaco. Se ne deduce che i brani musicali hanno un’influenza costante e dinamica sul sistema cardiovascolare e respiratorio. Il battito cardiaco e il respiro si sincronizzano, infatti, con la musica, prescindendo dalle conoscenze e dalle preferenze musicali dei soggetti. Le musiche con ritmi veloci accelerano la respirazione, il battito cardiaco ed aumentano la pressione arteriosa, mentre quelle più calme e ritmate producono l’effetto opposto di un rilassamento generale che rallenta il battito e abbassa la pressione. 

Uno studio tedesco, dell’Università della Ruhr a Bochum, pubblicato sulla rivista Deutsches Ärzteblatt International ha rilevato che la musica di Mozart e quella di Strauss fanno abbassare la pressione, la frequenza cardiaca e il livello di cortisolo, il cosiddetto ormone dello stress. Lo stesso non si può dire di quella del gruppo pop Abba, che sembra non avere effetti rilevanti sulla circolazione.

Tali dati sono stati confermati da uno studio portato avanti dal prof Luciano Bernardi (2018) dell’Università di Padova che intendeva comprendere se l’ascolto della musica, in particolare classica e lirica, produceva effetti particolari sul corpo umano.  Bernardi afferma, commentando i risultati del suo lavoro: “La musica genera un cambiamento continuo e dinamico, e in qualche grado prevedibile, del sistema cardiovascolare; non sono solo le emozioni suscitate dalla musica a influenzare i cambiamenti cardiovascolari, ma anche il contrario, e cioè in modo bidirezionale, i cambiamenti cardiovascolari indotti dalla musica possono essere il substrato per suscitare nuove emozioni”.

L’ascolto sonoro-musicale potrebbe quindi non solo costituirsi come uno strumento didattico di intervento immediato a disposizione dell’insegnante ma se utilizzato sistematicamente potrebbe anche contribuire a creare nei bambini emozioni e stati d’animo che favoriscAno la predisposizione all’apprendimento.